Da Paolo Siani, profondo conoscitore della Tanzania, uno sguardo limpido e sincero sulla scomparsa del Presidente Magufuli.

Dato che ho informazioni dirette, credo che sia mio dovere fare un po’ di informazione perché tramite la stampa italiana (a parte qualche articoletto per la morte del “presidente negazionista”) niente si sa a riguardo di quanto sta succedendo in Tanzania.

Non fa notizia una nazione che piange il suo presidente (morto improvvisamente a 61 anni) con manifestazioni pacifiche (più che altro religiose) e con una transizione dei poteri senza scossoni. Avrebbe senz’altro fatto più notizia se ci fosse stato un bel colpo di stato con qualche decina di morti, magari con qualche attentato islamista.

E invece no, non è andata così. I tanzaniani, dopo lo shock del primo giorno e l’incredulità di fronte alla notizia (molti hanno passato la notte in bianco) si sono riversati sulle strade ovunque passa il feretro gettando fiori, pregando e cantando inni religiosi di tutte le fedi. Le donne hanno steso sull’asfalto i loro teli tradizionali di cui si vestono (i kanga e i vitenge) perché il feretro ci passasse sopra. Per chi conosce le donne africane sa che importanza può avere per loro questo segno di rispetto.

Le donne al primo posto in Politica

E le donne sono sempre state al primo posto nella politica di John Pombe Magufuli. Molte le ha nominate capi di regione e di distretti. Il 50% dei suoi ministri sono donne. La sua vicepresidente è una donna, o meglio era la sua vicepresidente dato che essendo la Tanzania una repubblica presidenziale ora Samia Suluhu ha già giurato ed è diventata la prima presidente donna della Tanzania.

A Dodoma ieri [il 22 Marzo per chi legge] si sono tenuti i funerali ufficiali. Ed è stato l’arcivescovo Gervas Nyaisonga, nostro amico e presidente della Conferenza Episcopale Tanzaniana, ad aprire con una preghiera del funerale pubblico (durato sei ore) per un presidente che ha sempre professato apertamente e orgogliosamente la sua fede cattolica. È vero, nel caso del Covid ha anche esagerato dicendo che basta pregare per combatterlo.

Una fede vera nella semplicità di vita personale e familiare

Ma ha anche vissuto la sua fede nella pratica con la sua semplicità di vita personale e familiare. Stanno venendo fuori ora molte storie dei tanti poveri che hanno ricevuto un aiuto personalmente da lui e di cui nessuno sapeva niente, se non i diretti interessati. Ogni domenica partecipava alla Messa nella sua parrocchia (che era anche la mia quando abitavo a Dar es Salaam), ma spesso andava anche nelle chiese di altre confessioni cristiane, e alcuni venerdì andava nelle moschee, per affermare la vicinanza delle istituzioni a tutti quanti pregano Dio con cuore sincero e fraterno. Poche ore prima di morire ha richiesto la presenza del cardinale Pengo (suo amico) e del parroco della sua parrocchia. Con loro ha pregato e a loro a dettato le sue ultime volontà, che sono tutte rivolte ai Tanzaniani perché continuino come fratelli il loro cammino di sviluppo e di lotta alla corruzione. Dal suo parroco ha ricevuto l’unzione degli infermi. Poi ha chiesto la presenza e la preghiera del Gran Mufti di Dar es Salaam (principale guida islamica della Tanzania).

Chi sta dalla parte dei poveri non può che essere sulla strada giusta

Parlare di lui come il presidente populista, accostandolo a nomi come quello di Bolsonaro, è davvero ingiusto. Ha fatto sicuramente degli errori nella sua vita, e prima di morire si è anche confessato, ma chi sta dalla parte dei poveri non può che essere sulla strada giusta.
Le migliaia di mama mtilie (le povere donne che sbarcano il lunario cucinando e offrendo polenta ai bordi delle strade), di wamachinga (da noi li chiameremmo i vucumprà) e di giovani dei bodaboda (guidatori di taxi in motocicletta) che lo stanno accompagnando nel suo ultimo viaggio lo dimostrano. A loro ha ritagliato un posto nella società che prima li disprezzava e per questo ora piangono. È commovente vedere i tanti giovani che corrono a piedi accanto al corteo cercando di accompagnare il loro presidente almeno per qualche centinaio di metri.

È il momento di Samia

Ora tocca a Samia che, anche ora da presidente, continua a stupirsi perché Magufuli avesse scelto proprio lei come vicepresidente. Ma la sua storia parla per lei. Dalle strade di Zanzibar, dove fino a non molti anni fa per le ragazze c’erano solo le scuole coraniche, è riuscita a lottare per la sua emancipazione ed a studiare fino a raggiungere responsabilità pubbliche che l’hanno portata al fianco di Magufuli che, inconsapevolmente, l’ha scelta come futura presidente. Una scelta profetica che insegna qualcosa anche a tante democrazie occidentali dove ancora le donne faticano ad affermarsi.

Grazie John, ora riposa in pace.