Missionario della sofferenza
Oggi 24 agosto, festa di S. Bartolomeo Apostolo, “ dopo una gravissima crisi respiratoria”, come scrive a caldo don Giovanni Paccosi, suo collega e amico di missione, “verso la fine della mattinata, don Paolo Bargigia ci ha lasciati ed è andato con Gesù.” In queste ultime settimane era andato sempre più peggiorando: ora la sua sofferenza è finita. Don Paolo, dopo aver lavorato come parroco per 27 anni nella parrocchia di S. Pio al Sodo, duranti i quali, come dice lui, aveva sperimentato il “centuplo quaggiù”,nel 2008 era partito come missionario fidei donum per Lima, in Peru, unendosi a don Giovanni Paccosi, suo grande amico da tanti anni. Ascoltiamo quello che don Paolo scrive dopo appena quindici mesi dal suo arrivo a Lima. In queste righe si sente la freschezza e l’entusiasmo della sua vocazione missionaria. “Guardando a quello che ho vissuto in questi 15 mesi di presenza a Lima, mi viene da esprimere una profonda gratitudine al Signore Gesù e alla Chiesa per avermi mandato qui. La chiamata alla missione l’ho accolta con timore e gioia, per un desiderio che ho sempre avuto di vivere il sacerdozio come missione anche in senso stretto e per la richiesta del Vescovo Lino Panizza di aiutare la costruzione della sua giovane Chiesa di Carabayllo in Lima Nord (la diocesi ha solo 12 anni) lavorando nella Parrocchia di Santa Maria de la Reconciliación e nel grande progetto di evangelizzazione dei giovani attraverso l’Universidad Católica Sedes Sapientiae. Dicevo anche di timore, per il fatto che ho sempre vissuto, da quando ero seminarista fino alla partenza per Lima, nella Parrocchia di San Pio X al Sodo, 27 anni, nella quale ho sperimentato veramente il “centuplo quaggiù” e quindi era il primo cambiamento, e che cambiamento. Quante famiglie, amici, giovani, malati, anziani, storie uniche e indimenticabili con le quali abbiamo costruito la Parrocchia. E anche lasciare il Liceo Da Vinci dove ho insegnato per lunghi anni, i miei alunni e tanti amici colleghi di lavoro con i quali ho condiviso tutto con passione. Avevo la certezza della chiamata di Cristo e della Chiesa alla missione, ma come quando entrai in seminario e vedevo la mia famiglia soffrire il distacco, sentivo la responsabilità di tanti “genitori e fratelli” che soffrivano allo stesso modo. Anche in questo aspetto ho sperimentato che andare in Missione non significa lasciare qualcosa, come fosse un perdere, terminare. In realtà tutto cambia, ma non si perde niente di quello che Cristo ha donato, che è la comunione fra le persone, e misteriosamente cresce un popolo generato dalla testimonianza del Sì a Cristo. Sono grato per aver sperimentato che vivere la Chiesa è essere cittadini nel mondo, avere una casa, una dimora e una famiglia in ogni luogo dove è presente Cristo. La presenza familiare di don Giovanni Paccosi, con il quale sono amico da 33 anni, l’accoglienza calorosa della parrocchia, la vita stessa della comunità sono stati un grande aiuto per introdurmi in un “altro mondo” sotto ogni aspetto.”
Ci siamo visti quasi sempre, durante i suoi ritorni, nei quali raccontava con entusiasmo il suo lavoro nella diocesi di Carabayllo. Poi, nel 2014, le prime avvisaglie della terribile malattia di Sla, che avanzando inesorabile, in appena tre anni lo ha portato alla tomba. Prima della sua ultima partenza per la missione, dopo una visita di controllo al S. Raffaele di Milano, l’ho incontrato a Rifredi, in un appartamento della misericordia dove si era ospitato. La malattia aveva già colpito le gambe ma era ancora autosufficiente per tutte le altre parti del corpo. “ Riparto per Lima, mi disse, almeno posso rendermi utile in parrocchia ed anche all’università. Ho tanta gente che mi vuole bene e fa di tutto per aiutami. Sento comunque che il Signore mi sta chiamando ad un’altra vocazione: quella della sofferenza.” Parole profetiche: dopo pochi mesi era talmente peggiorato che il medico gli aveva gli consigliato di ripartire subito per l’Italia, altrimenti non avrebbe garantito che potesse fare il viaggio di ritorno. Rientrato in Italia, è rimasto per alcuni mesi al Convitto Ecclesiatico. Poi, nel marzo 2016, anche don Giovanni è ritornato dal Peru ed hanno vissuto insieme nella Parrocchia di Gesù Buon Pastore a Casellina (Scandicci). Dal momento del suo ritorno, nonostante il progressivo e costante peggioramento della malattia, don Paolo non ha mai cessato di essere presente agli appuntamenti più significativi della diocesi. Uno degli ultimi a Barbiana, una settimana dopo la visita del Papa, per la messa di suffragio per don Lorenzo Milani, a cinquanta anni dalla sua morte. Faceva un caldo asfissiante eppure lui era là ed ha voluto essere accompagnato lungo la ripida discesa fino al cimitero. Il cardinale Giuseppe Betori ha così commentato: “Ogni volta che vedo don Paolo Bargigia tra noi ringrazio il Signore per la grande testimonianza che ci offre.” Grazie, don Paolo, per l’esempio forte di missionarietà che hai dato a ciascuno di noi. Ci auguriamo, sul tuo esempio, che la Chiesa fiorentina diventi veramente Chiesa in uscita, intenta a scoprire in ogni avvenimento, anche tra quelli più tristi, le tracce segnate dallo Spirito per la costruzione del Regno di Dio. Insieme a tutta l’equipe del CMD, preghiamo affinché Santa Rosa da Lima, della quale abbiamo celebrato la festa alla vigilia della tua morte, ti accolga insieme a tutti i santi nella gioia del Paradiso.
Don Sergio Merlini
Direttore del Centro Missionario Diocesano




