“Cristo nostra Pasqua è stato immolato. Celebriamo dunque la festa non con il lievito vecchio, né con lievito di malizia e di perversità, ma con azzimi di sincerità e di verità” (1 Cor 5,7-8).

“All’aurora gli insensati faranno spazio al giusto, nella morte svaniranno i loro volti, per essi non più palazzi” (Sal 49,15, traduzione per la liturgia in francese).

Mongo, 21 marzo 2020

Carissimi/e,

durante il tempo quaresimale queste due frasi della Scrittura mi hanno molto aiutato a riflettere. Entrambe ci ricordano l’importanza della sobrietà e di scommettere su ciò che conta davvero e rimane per sempre. Ultimamente la mia preghiera si è nutrita inoltre di tante testimonianze di coraggio e di fede di numerose persone che hanno voluto condividere con me i loro pensieri e le loro riflessioni, durante questo periodo di sofferenza a causa del coronavirus in Italia. Finora, qui, grazie a Dio, siamo stati risparmiati da questa dura prova, anche se ultimamente il governo ciadiano ha adottato delle misure forti per evitare il rischio del contagio.

Dall’ultima volta che mi sono fatto vivo sono successe molte cose, provo allora a condividere quello che mi è rimasto più impresso nella memoria. In parrocchia a Natale abbiamo realizzato un bel presepe con delle statue di stoffa, confezionate da un gruppo di alcolisti anonimi di N’Djamena che si auto-finanzia per delle iniziative di riflessione e di ricerca nella lotta contro l’alcolismo. Il presepe era una specie di capanna, simile alle abitazioni dei villaggi vicini a Mongo e, alla fine della Messa della notte di Natale, alcune mamme che erano venute coi loro bambini neonati hanno fatto un gesto molto bello. Si sono avvicinate a turno alla Santa Famiglia e hanno deposto delicatemente ciascuna il loro bambino accanto a Gesù. Un modo straordinario per dire: “È mio figlio, ma è anche vostro figlio, guardatelo e accoglietelo come avete fatto per Gesù”. Mi è venuta in mente quella bella preghiera a Gesù Cristo notro modello di p. Pedro Arrupe che si conclude così: “Chiedo a Maria, la tua santissima Madre da cui ricevesti la vita, con cui vivesti trentatré anni, che tanto contribuì a plasmare e formare il tuo modo di essere e di agire, di plasmare in me e in tutti i figli della Compagnia altrettanti Gesù come te”. All’occasione della festa di Natale avevamo organizzato una festa del raccolto, per ringraziare il Signore per i frutti della terra. Ognuno era invitato, dopo la comunione, a condividere del miglio, delle arachidi, del sesamo, dei fagioli da destinare poi ai carcerati o ai malati della città. Davanti all’altare si è formato così un corteo, che mi ha fatto venire in mente quello dei pastori alla grotta di Betlemme. Fra di loro c’era un uomo anziano, un nonno vedovo che vive da solo a Mongo, anche lui si è avvicinato per donare il suo piccolo sacchetto di arachidi. La sua offerta mi ha ricordato quella della povera vedova che mette nel tesoro del Tempio due monetine, e Gesù la vede e dice che lei ha gettato più di tutti gli altri. Lui stesso fa fatica a trovare il necessario per vivere, eppure sa che ci sono altri ancora più poveri di lui e che l’uomo non vive di solo pane. Dio ama chi dona con gioia, ci ricorda san Paolo (2 Cor 9,7), ma possiamo anche dire che Dio dona la gioia a chi ama. E davvero il nostro nonno è un uomo pieno di gioia, conosciuto da tutti in parrocchia, amato soprattutto dai giovani dell’Internato, che spesso lo cercano per farsi raccontare delle storie di vita. Si realizza così quella preziosa comunione tra le generazioni che permette agli anziani di fare sogni e ai giovani di avere visioni (Gl 3,1).

Nelle vacanze di Natale, una bella iniziativa era stata organizzata dalla Commissione diocesana della pastorale giovanile, un Forum per i giovani del Vicariato Apostolico di Mongo a Abeché, all’est del Ciad. Hanno partecipato circa 250 giovani, rappresentanti delle sette parrocchie del Vicariato. Quelli che venivano da più lontano hanno fatto due giorni interi di viaggio per percorrere circa 600 km, su strade per lo più sterrate e piene di buche. La gioia di ritrovarsi, di conoscersi e di stare insieme era talmente grande che la fatica e il disagio sono stati velocemente dimenticati. Il primo giorno è stato dedicato alla condivisione di un lavoro di riflessione che era stato svolto in ogni parrocchia, sulla base di alcune schede preparate dalla Commissione diocesana. Lo scambio è stato molto ricco proprio per la grande diversità delle persone partecipanti. Ci sono infatti delle parrocchie rurali, formate principalmente da cristiani autoctoni e parrocchie di città, in cui la maggioranza è rappresentata da cristiani del sud, venuti per studiare all’Università o al seguito delle loro famiglie. Come al Sinodo sull’Amazonia, mi hanno molto colpito gli interventi delle donne. Per la parrocchia di Abeché ha preso la parola Raissa, una giovane studentessa di medicina. Molto spigliata, parla un francese impeccabile e descrive in maniera lucida la situazione dei giovani della sua comunità. Quando si esprime sul tema della vocazione usa un termine che mi piace molto: magnetismo. Nel discernimento, per capire qual’è la nostra chiamata, bisogna fare attenzione a questa misteriosa attrazione del cuore, di cui parla anche papa Francesco nell’Esortazione Christus Vivit,invitandoci all’ascolto degli impulsi in avanti: “A volte questo richiede che la persona non guardi tanto ciò che le piace, i suoi desideri superficiali, ma ciò che è più gradito al Signore, il suo progetto per la propria vita che si esprime in un’inclinazione del cuore, al di là della scorza dei gusti e dei sentimenti. Questo ascolto è attenzione all’intenzione ultima, che è quella che alla fine decide la vita, perché esiste Qualcuno come Gesù che comprende e apprezza questa intenzione ultima del cuore” (CV 294). Il secondo giorno del Forum, dopo l’ascolto di alcune testimonianze, è stato dedicato all’elaborazione delle risoluzioni. Dapprima in piccoli gruppi, poi in assemblea si trattava di mettere in luce alcune priorità della pastorale giovanile e delle strategie per crescere nella comunione sinodale fra le diverse parrocchie. È stato un momento di grazia, in cui si è sentito forte il soffio dello Spirito Santo. I giovani hanno preso coscienza dell’importanza di esprimersi e di essere protagonisti della vita della Chiesa. La presenza del Vescovo, al momento della condivisione finale, che ha raccolto e approvato le risoluzioni, è stata come un riconoscimento ufficiale dell’autenticità delle ispirazioni ricevute e un incoraggiamento concreto per l’applicazione delle decisioni prese. Le Chiese dell’Africa sono in continua crescita e mi viene da pensare che, nel futuro, l’attenzione alla loro voce nelle assemblee sinodali sarà una priorità importante da rispettare. Mi ritengo allora davvero molto fortunato di aver potuto già pregustare un anticipo di questa voce profetica, senza dimenticare la responsabilità di vegliare perché essa non sia soffocata o disprezzata, prima di tutto nel mio cuore.

Nel mese di febbraio ho trascorso tre settimane a N’Djamena per l’insegnamento in Seminario. Avevo un corso di 50 ore sui profeti, da svolgere in tre settimane. I soggiorni nella capitale sono sempre delle belle occasioni per ritrovare i vecchi amici, soprattutto nel fine settimana. L’Arcivescovo di N’Djamena ha molto insistito sull’importanza del ruolo delle Caritas parrocchiali, abituate finora a svolgere le loro attività con dei finanziamenti provenienti dall’estero. La priorità oggi è di operare senza contare troppo sugli aiuti esterni, confidando che questa sfida possa diventare una grazia per non cadere nella trappola di perdere l’identità evangelica, trasformandosi in ONG. Ho provato una grande gioia nel vedere un’applicazione creativa di queste indicazioni pastorali da parte della Caritas di Santa Bakhita, che ha aperto una specie di ristorante all’interno della corte della parrocchia, la domenica dopo la Messa. Questa iniziativa favorisce anche la crescita in quello spirito di condivisione e di comunione fra i fedeli, che amano molto trattennersi a parlare alla fine delle celebrazioni. Il primo Sinodo per l’Africa del 1994 aveva parlato della Chiesa come famiglia di Dio, vedendo in tale immagine una rappresentazione fedele di un dono dello Spirito, concesso in particolare ai cristiani di questo continente. Questo carisma si manifesta nei momenti di gioia e anche nelle sofferenze. La solidarietà nel dolore si è fatta sentire particolarmente nella vicinanza dei parrocchiani alla famiglia di madame Céléstine Mopi, violentata e assassinata brutalmente sulla strada che la conduceva alla sua parrocchia a N’Djamena, per partecipare alla Messa del mattino a fine febbraio. È vero che talvolta, a causa del peccato, questa solidarietà si limita soltanto ai membri del gruppo specifico di appartenenza, tuttavia la fede ci spinge sempre a intravedere il vino in cui l’acqua può essere trasformata, e a scoprire il grano che cresce in mezzo alla zizzania (cf. EG 84). Sarebbe bello allora che imparassimo a combattere il pessimismo e a lasciarci contagiare da questo virus benefico della condivisione, presente nelle chiese africane, per poter crescere nella speranza. Dean Brackely, gesuita americano, parla di un’esperienza tra i poveri in El Salvador in questi termini: “Se noi permettiamo ai poveri di condividere le loro sofferenze con noi, essi ci comunicano anche alcune delle loro speranze: Il sorriso che pare non avere alcun fondamento nei fatti non è fasullo o ipocrita; lo spirito della festa non è una scappatoia, ma è la convinzione che, accanto all’ingiustizia e alla distruzione, anche qualcos’altro sta avanzando nel mondo. I poveri sorridono perché credono che ci sia qualcosa di più potente dell’ingiustizia. Quando insistono per condividere la loro tortilla con uno straniero, ci rendiamo conto che nel mondo sta avvenendo qulacosa che è molto più bello di quanto noi non sappiamo immaginare”. Si potrebbero dire le stesse identiche cose per i poveri del Ciad, sostituendo semplicemente la tortilla con la boule, il piatto tipico locale.

Ci prepariamo alla festa di Pasqua, anche qui, quest’anno, con mille inquietudini. Ci chiediamo soprattutto cosa succederà alla fine di questa pandemia. Nel vangelo di Matteo Gesù annucia ai suoi discepoli, al tempo stesso, che sarà per loro motivo di scandalo e che una volta risorto li precederà in Galilea (Mt 26,31-32). La risurrezione non è solo una vittoria sulla morte subita da Gesù, ma anche sulla potenza del fallimento, che sempre minaccia la vita dei discepoli. La fede nella risurrezione va sempre insieme alla fede nel perdono dei nostri peccati. I momenti di crisi possono diventare occasioni preziose per (ri)scoprire tesori nascosti nel nostro cuore, segni della bontà di Dio per noi. Solo nella luce di questo amore possiamo vedere la vera luce, discernere quei pesi e quei peccati che ci intralciano nel cammino della vita. P. Alberto Maggi propone di sostituire quella slogan pagano (“Si vive una sola volta”) che ci conduce a vivere in modo egoista, dicendo: “Nasciamo due volte e la seconda volta è per non morire più!”. Non temiamo! La morte ha già perso un bel po’ del suo pungiglione e allora, con coraggio, insieme agli auguri di Buona Pasqua, possiamo provare a dirci anche: Buona seconda nascita! Dio è fedele, non permetterà che siamo tentati oltre le nostre forze (cf. 1 Cor 10,13)

Con affetto, d. Gherardo

P.S. Giovedì 19 marzo abbiamo inaugurato il nuovo edificio del Collegio comunitario cattolico di Mongo, realizzato con l’aiuto del Progetto Agata Smeralda. Il Vescovo di Mongo, Monsignor Henri Coudray, ha scelto come patrono della scuola Sant Oscar Arnulfo Romero. La Provvidenza ha voluto che l’inaugurazione coincidesse quasi perfettamente con il quarantesimo anniversario della sua morte a San Salvador, il 24 marzo 1980.

Un sentito ringraziamento anche ai parrocchiani di Bivigliano per il loro prezioso aiuto che ci ha permesso di offrire ai giovani della parrocchia delle Bibbie, all’occasione della giornata della Parola nel mese di gennaio.