N’Djamena, 23 marzo 2018

Carissimi/e,

La festa di Pasqua, alla quale ci stiamo preparando, è sempre una bella occasione per riflettere sul senso della libertà. La storia di santa Bakhita, patrona della nostra parrocchia a N’Djamena, ci offre un bell’esempio di una donna veramente libera. Di origine sudanese, rapita all’età di nove anni, venduta e rivenduta cinque volte, arriva finalmente in Italia, al tempo in cui la legge ha abolito la schiavitù. Bakhita capisce, tuttavia, che la libertà non è solo una questione esteriore, ma è legata paradossalmente al fatto di mettersi a servizio di una nuova persona che lei chiama ancora familiarmente, in dialetto veneziano El Paron. L’articolo determinativo davanti al sostantivo, fa comprendere bene che questo padrone non è come gli altri: servirlo e farlo conoscere non è un giogo che opprime, ma un dono che ci riempie di fierezza e di gioia. Il libro dell’Esodo ci ricorda che, per restare e crescere in questa libertà che il Signore ci concede, è necessario vegliare per non cedere alla tentazione di divenire a nostra volta oppressori dei nostri fratelli: “Non molesterai il forestiero né l’opprimerai, perché voi siete stati forestieri in terra d’Egitto” (Es 20,22). In questa lettera di Pasqua vorrei provare a dire qualcosa sulla situazione di oppressione che sta vivendo il popolo ciadiano soprattutto in questo tempo, nella consapevolezza che conoscere, compatire e portare i pesi gli uni degli altri, potrà permetterci di adempiere la legge di Cristo (Gal 6,2).

In uno studio recente realizzato dalla Lund University e pubblicato dalla rivista dei gesuiti Tchad et Culture sulla vulnerabilità climatica, il Ciad figura fra i paesi più a rischio del mondo. I problemi legati alla sua difficile posizione geografica, stretto fra il Sahara e il Camerun, senza sbocchi al mare, sono divenuti ancora più complessi a causa delle numerose guerre civili. Sui 57 anni dall’indipendenza a oggi, 35 sono stati trascorsi in conflitti armati. A partire dalla metà del XX secolo, inoltre, l’innalzamento delle temperature, la riduzione delle precipitazioni e l’aumento dei prelevamenti idrici per l’irrigazione, ha provocato una riduzione di circa il 90% delle riserve d’acque del lago Tchad. Gli studi prevedono un’intensificazione di questo clima secco e arido nel corso del XXI secolo che comporterà una riduzione dei rendimenti agricoli, pascoli degradati e un quotidiano difficile per quanti dipendono dalle risorse del lago Tchad. La riduzione delle risorse dell’agricoltura e dell’allevamento rende più difficile la coabitazione coi numerosi rifugiati presenti sul territorio. All’est, alla frontiera col Sudan, sono circa 300.000 i profughi del Darfur e a sud sono circa 67.000 quelli provenienti dal Centrafrica. Al nord, la crisi alimentata dalla setta Boko Haram, con le sue ripercussioni sulla regione del lago Tchad, ha provocato già più di 60.000 migranti. La chiusura della frontiera con la Nigeria, a causa del problema del terrorismo, sta provocando gravi perdite al mercato dei bovini. Per fare un esempio, prima del 2015, un capo poteva essere venduto a 300.000 franchi (circa 450 euro), oggi difficilmente si trova un acquirente disposto a pagarlo al prezzo di 100.000 franchi (150 euro). La caduta del prezzo del petrolio a partire dal 2014, che contribuiva al 90% delle esportazioni di beni e al 30% del prodotto interno lordo, ha provocato una profonda recessione dal 2016 a oggi, che non cessa di aggravarsi. Praticamente adesso il Ciad non riceve più niente dalla vendita del suo greggio, i cui proventi sono assorbiti già da due anni dal pagamento di un debito contratto con l’impresa svizzera Glencore per acquistare delle parti nel consorzio che sfrutta il bacino petrolifero di Doba, nel sud del paese. Dal 2003, anno di inizio dell’estrazione del petrolio fino al 2014, il prodotto interno lordo per abitante è cresciuto da 220 a 1024 dollari e con esso la propensione marginale a consumare dei ciadiani. Si può facilmente capire che, quando il presidente della Repubblica invita a ritornare alla situazione del prima 2003, i suoi discorsi suscitano una forte opposizione della società civile. La Banca Mondiale e il Fondo Monetario Internazionale condizionano i loro aiuti a una drastica riduzione del debito interno e esterno. Tutto ciò ha provocato il taglio dei salari nella funzione pubblica e l’inizio degli scioperi che perdurano da febbraio fino a oggi, specialmente nella scuola e nella sanità.

Purtroppo la politica estera dei paesi occidentali nei confronti dell’Africa non è molto cambiata e anche certe decisioni prese recentemente per lottare contro il terrorismo, non brillano per lungimiranza. Federica Mogherini, in una conferenza stampa al termine del G5 Sahel a fine febbraio, ha ribadito che l’Unione Europea ha sborsato 400 milioni di euro per la sicurezza nella zona saheliana, ma dubito fortemente che questo tipo di strategia sia efficace. Papa Francesco, in un libro intervista a cura di D. Wolton, pubblicato in francese col titolo Politique e société, offre delle belle riflessioni in proposito. Rispondendo a una domanda sulla situazione in Libia, dice: “Certo Gheddafi non era sant’Agostino. Ma oggi i Libici si domandano: ‘Perché gli occidentali sono venuti a dirci ciò che deve essere la democrazia? Avevamo un Gheddafi, adesso ne abbiamo cinquanta”.

Come per l’annuncio del Vangelo, così per la politica estera bisogna avere il coraggio di studiare delle soluzioni inculturate. Sono convinto che il Signore ci dona la creatività e la forza per farlo. La speranza, accesa soprattutto dalla fede nel Signore risorto, ci permette di combattere l’apatia e la rassegnazione. Mi ha molto colpito un passaggio dell’omelia di papa Francesco per il mercoledì delle ceneri, in cui invitava a volgere lo sguardo ai bambini e ai giovani: “Guarda i volti che ci interpellano, i volti dei nostri bambini e giovani carichi di futuro e di speranza, carichi di domani e di potenzialità che esigono dedizione e protezione. Germogli viventi dell’amore e della vita che sempre si fanno largo in mezzo ai nostri calcoli meschini e egoistici”. Durante gli ultimi tempi mi è capito varie volte di gurdare i volti dei bambini e dei giovani della parrocchia. Mi ricordo che quando ero giovane, lo sciopero a scuola era una mezza festa, un’occasione per fare un po’ di vacanza. Qui invece è il contrario: essere obbligati a restare a casa senza far nulla è una vera punizione e talvolta motivo di angoscia fino alle lacrime, soprattutto per quei giovani che si preparano all’esame di maturità e si domandano se mai riusciranno quest’anno a terminare la scuola superiore. Davanti al perdurare dello sciopero, abbiamo convocato in parrocchia un consiglio pastorale straordinario al termine del quale abbiamo deciso di cominciare dei corsi di recupero per i bambini e i giovani delle nostre comunità di base. Nel frattempo i sindacati e il governo hanno trovato un accordo che dovrebbe mettere fine allo sciopero nei prossimi giorni, ma restiamo vigilanti. Quello che mi ha colpito e rallegrato profondamente è stata la gara di solidarietà dei fedeli della parrocchia per l’organizzazione di questi corsi. Mi sono sentito, ed è un’esperienza che mi capita spesso, non solo qui in Ciad, come un allenatore di calcio molto modesto, ma con uno squadrone da Champions League. Il giocatore-capitano che prende in mano la squadra nel caso specifico, è un ex-preside con grandissima esperienza professionale, che in tre balletti ha fatto un ottimo programma per suddividere gli oltre mille allievi nei vari gruppi, assegnare loro gli insegnanti, stabilire luogo e orari delle lezioni. Moltissime altre persone si sono offerte per sostenere l’iniziativa attraverso l’offerta di quaderni, penne, gessi, lavagne,…Certamente non è che una piccola goccia, ma tanto basta per vedere rifiorire dei sorrisi e dei segni di speranza sui volti dei giovani.

Molto, moltissimo resta ancora da fare e cerco di ricordarmelo in particolare tenendo sulla mia scrivania, vicino alla croce davanti alla quale prego la mattina, la carta di battesimo di una giovane mamma, che ci ha lasciati tragicamente all’inizio di febbraio. Abbandonata dal marito, era rientrata nella casa paterna insieme alle sue due figlie. In un momento di disperazione si è tolta la vita bevendo dell’acido. Abbiamo pregato invocando il perdono del Signore, non solo per la giovane mamma, ma anche per tutta la comunità. “Siamo tutti responsabili di tutti”, come diceva san Giovanni Paolo II e se qualcuno non riesce più a vedere dei motivi validi per vivere, mi viene da pensare che alla radice c’è questo male della globalizzazione dell’indifferenza, di cui anch’io sono complice.

Un segno di speranza e di perdono mi è sembrato di coglierlo qualche giorno dopo. Vicino alla parrocchia c’è un terreno che è stato asseganato dallo stato alla chiesa cattolica per la realizzazione di una basilica. Per il momento c’è stata solo la posa della prima pietra e da alcuni anni il terreno è occupato abusivamente da commercianti di materiale edilizio. Siamo riusciti a recuperare almeno una porzione del terreno e a costruire una bella croce, intorno alla quale ci ritroviamo ogni mercoledì, a turno con una delle nostre comunità di base, per la Messa. Per arrivare bisogna attraversare una strada molto trafficata. Il mercoledì in cui celebravo con la comunità St. Pierre, mentre cantavamo all’inizio della Messa, sono arrivati dei bambini della comunità che hanno cominciato a attraversare la prima parte della carreggiata e poi si sono fermati in piedi sullo spartitraffico al centro. A questo punto, prima di fare l’ultimo tratto, si sono dati la mano e ci hanno raggiunti tutti soddisfatti. Questa piccola colorata catena umana mi è sembrata come la coda di un aquilone che illumina un cielo grigio. Mi è venuto da pensare che l’aquilone invisibile nascosto dietro le nuvole è Gesù, che ci lascia ancora dei segni della sua vittoria sulla morte (come le bende e il sudario che avvolgevano il suo corpo). Ciascuno può vederli, ma soltanto insieme, dandoci la mano, possiamo vedere e credere (Gv 20,8).

Buona Pasqua, con amicizia, don Gherardo.

 

P.S. Un ringraziamento speciale a don Fabio Masi e agli amici di Paterno per il loro generoso, fedele e prezioso aiuto che ci ha permesso di realizzare una nuova aula per i bambini della nostra scuola parrocchiale.